Il Vesuvio è il più pericoloso dei vulcani italiani. L’ultima eruzione risale al 1944 e per ora è tranquillo, nemmeno una fumarola. L’Italia meridionale è al centro di un grande scontro fra placche: adriatica, ionica, tirrenica e africana e per questo è da sempre esposta a terremoti ed eruzioni vulcaniche. Ma l’origine dei vari vulcani è di natura diversa.
Secondo recenti ipotesi gli ultimi fenomeni tellurici e vulcanici sarebbero causati dall’arretramento della placca africana, che scivola sotto quella tirrenica di circa un millimetro l’anno e coinvolge i primi 700 chilometri di crosta terrestre.
In profondità le rocce fondono formando un magma ricco di gas e meno denso del materiale circostante. Questo magma tende a risalire in superficie dando vita a fenomeni vulcanici di tipo esplosivo, tipici del Vesuvio, dello Stromboli e dei vulcani delle Eolie. L’Etna invece attinge il magma direttamente dal mantello che sta sotto la crosta, più povero di gas, e quindi le eruzioni sono più tranquille.
Ma le sue ultime manifestazioni più violente, ricche di gas e inquinate da magmi di subduzione, fanno sospettare che qualcosa sta cambiando e potrebbe essere dovuto all’arretramento della placca africana per cui la zona di subduzione va a sovrapporsi al condotto che giunge dal mantello, mescolando i due tipi di lava.
I pompeiani consideravano il Vesuvio spento da molto tempo e nulla poteva far pensare ad un’esplosione di grande energia. Diciassette anni prima (62 d.C.) un violento terremoto aveva interessato tutta la zona vesuviana e semidistrutto Pompei. Forse era un segno della grande tensione che si andava accumulando.
Plinio il Giovane fu un testimone diretto e ci ha lasciato una descrizione impressionante di quella grande catastrofe, dove anche lo zio, Plinio il Vecchio perse la vita. In un pomeriggio di agosto del 79 d.C. una immensa nuvola nera oscura il sole. Un diluvio di cenere, lapilli e scorie incandescenti si riversano su Pompei. Incendi ovunque fanno salire fiamme altissime. Crollano tetti e mura.
Poi una nube di cenere mista ad acqua bollente cancella ogni forma di vita. Cala il buio improvviso, apocalittico, squarciato dai fulmini. Un terribile terremoto e maremoto toglie ogni speranza di fuga verso il mare. Chi cerca salvezza verso la campagna è investito e ucciso dai gas velenosi che si propagano ovunque. L’inferno dura tre giorni. Poi tutto è silenzio. Una coltre di ceneri di 5-6 metri di spessore si stende da Ercolano a Stabia. Pompei non riesce più a risorgere. Sciacalli e cercatori di tesori trafugano quanto possono dai resti affioranti. Poi Pompei è dimenticata.
Il cono vulcanico è cambiato completamente. Parte della sommità si è rovesciata su un fianco. Una grande quantità di materiale si è distribuito ai suoi piedi e una nuova bocca eruttiva si è aperta. Della grande montagna che sfiorava i tremila metri ora rimane un troncone dimezzato.
Il Vesuvio continuerà le sue eruzioni intermittenti per secoli, l’ultima è del 1944. Attualmente è considerato spento. Dopo 1600 anni dall’evento, con i Borboni, iniziano i primi scavi allo scopo di trafugare le opere più interessanti.
Finalmente nel 1860 con Giuseppe Fiorelli gli scavi divengono sistematici ed accorti. E’ il primo che usa la tecnica di colare il gesso nello spazio lasciato dalle sostanze organiche dissoltesi nel lapillo compatto. Prendono così forma i corpi di uomini, animali e oggetti in legno che si erano polverizzati.